``Come un Atlante del Paesaggio``
Il Comune di Legnano in collaborazione con l’Archivio Fotografico Italiano e con il patrocinio dell’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori e della Provincia di Milano, propone una mostra fotografica, articolata e aperta a un confronto di stili e linguaggi, dedicata alla fotografia del paesaggio, affrontando i differenti significati che lo stesso raffigura per ognuno di noi. Il paesaggio quindi come documentazione, ricerca progettuale, espressione artistica, come recupero della memoria, luogo del pensiero e delle trasformazioni, e rapporto esplicito tra uomo e ambiente.
Un contenitore spazio-temporale che produce emozioni nel divenire della luce, plasmando le forme.
Gli autori e le mostre
“Prima del giorno”
L’autore si muove all’interno di un mondo immaginario, piega la fotografia agli intenti della sua poetica e della sua ricerca di gusto surreale, creando immagini di grande forza espressiva. Osservando le opere di Donaggio, in un imponente bianco nero di grande formato, ci si sente più viaggiatori che osservatori, si percorre una nuova via fatta di intense e strane sensazioni che vengono da remoti luoghi interiori dell’artista, luoghi costruiti da intuizioni, emozioni quasi prorompenti.
L’ autore ci accompagna all’interno di architetture in cui l’uomo pare essere così piccolo da essere sovrastato da un paesaggio opprimente, come metafora dell’esistenza umana che si muove all’interno di percorsi metafisici, con chiari riferimenti ai repentini mutamenti delle nostre città, proposti in chiave artistica di grande impatto estetico.

Franco Donaggio
“Cinema Impero – Asmara e il periodo coloniale”
‘”Cinema impero”‘ propone una serie di opere tese a riflettere sul concetto di “dimenticanza e rimosso”, riferendosi nel particolare al periodo coloniale italiano nell’Africa Orientale e nel Mediterraneo, ma in generale a tutte le tracce, i ritrovamenti, i processi reali che sono stati e sono tuttora “oggetto di rimozione” da parte delle istituzioni e della società civile.
Il lavoro, parte di un più ampio e complesso progetto “Rimosso d’Oltremare”, realizzato in collaborazione con Camilla Casadei Maldini, combina immagini di documentazione realizzate nelle ex-colonie italiane, nello specifico nella città di Asmara in Eritrea, a immagini off camera, objet trouvè e prelevamenti d’archivio.
La rimozione non solo produce la desolazione dell’amnesia, ma falsifica le possibilità di analisi del reale, agisce sulla memoria e quindi sull’identità, sulle rappresentazioni e sulle narrazioni collettive, rendendole isteriche, tendenziose e dissociate.
Si manifesta così una rappresentazione distorta della storia e del presente, che genera copioni contraffatti e sotterranei, testi e recite bugiarde. In questo terreno si manifesta l’aspetto pragmatico e crudele della rimozione, la lama del coltello: l’amnesia lascia nello spazio intorno a noi dei “residui”- che siano politici, ideologici, culturali – delle rovine, degli spettri che tornano in vita nel contemporaneo con una forza ancora più aggressiva e destabilizzante.
È proprio in questi spazi residuali, in questa zona d’ombra che “Un’altra storia” trova il suo materiale di elaborazione e intervento. È proprio questa domanda “aperta”, questa possibilità di interrogare, di chiedere agli oggetti così come ad un archivio, a un sistema museale come ad una collezione, che ci permette – certo chiedendo aiuto a quella condizione di costitutiva ambiguità e irragionevolezza delle immagini che ci consente infinite possibilità di risemantizzazione e combinazioni di senso – di non chiuderci in sistemi di pensiero dogmatici, di evitare i paradigmi, di moltiplicare gli strumenti di lettura, i sistemi di rappresentazione e le narrazioni del reale.
(Luca Capuano) Sito ufficiale

Luca Capuano
“Crespi D’Adda”
La possibilità nel 1877 di poter sfruttare l’acqua di una derivazione del fiume Adda come forza motrice fu per Beniamino Giuseppe Crespi, discendete dalla famiglia di industriali bustesi, il primo passo per poter realizzare il villaggio di Crespi d’Adda su terreni acquistati dal comune di Capriate san Gervasio e dalla Canonica d’Adda. Il villaggio doveva rispondere a moderni principi di organizzazione industriale e filantropia delle company town inglesi; l’opificio costruito lungo il ramo dell’Adda era composto da una griglia di isolati di abitazioni divise secondo lo status dei lavoratori, di servizi come la scuola e l’asilo per i figli degli impiegati, gli empori, il teatro, il cimitero e una chiesa progettata ad immagine della chiesa bramantesca di Busto Arsizio, tutto dominato dalla villa del fondatore.
Il progetto di questa nuova città fu affidato ad Ernesto Pirovano ma la presenza di contributi anche di Pietro Brunati e Gaetano Moretti ne fanno confondere la paternità.

Marco Introini
“Cento case popolari”
Con Cento case popolari Fabio Mantovani racconta dieci progetti: Rozzol Melara a Trieste, Gallaratese a Milano, Forte Quezzi a Genova, Barca a Bologna, Corviale a Roma, Villaggio Matteotti a Terni, ZEN di Palermo, Le Vele di Scampia, il complesso Cielo Alto a Cervinia e il quartiere Spine Bianche a Matera – o forse, più precisamente, registra attraverso cento scene come le persone attraversano e vivono oggi architetture costruite per essere pezzi di città.
All’osservatore è chiesto prima di perdersi nella grande scena e di ricomporre solo in un secondo momento, attraverso i singoli frammenti, l’immagine dei quartieri. Lo sguardo di Mantovani insiste lucidamente, senza indecisioni, sul rapporto tra corpo e spazio: non ci sono protagonisti, ci sono relazioni a distanza. Si tratta di architetture legate da un’idea di città, da una politica, soprattutto da un pensiero moderno comune; e poi ci sono gli ospiti di queste strutture, chi si è trovato per scelta o suo malgrado a viverle ed abitarle.

Fabio Mantovani

Fabio Mantovani
“Architettura, Industria, Paesaggio 2016-2018”
Le cattedrali di Aem di Fabrizio Trisoglio Il concetto di “cattedrale” in riferimento ad alcune particolari architetture industriali non è assolutamente nuovo, sia per la facilità di associare nell’immaginario collettivo i grandi spazi interni necessari alla produzione a grandi navate gotiche, sia per la loro felice identificazione in “cattedrali laiche del lavoro”, nelle quali generazioni di lavoratori hanno contribuito con dedizione e sacrifici alla crescita economica e industriale.
Ciononostante, nella società post-industriale sempre di più questa specifica associazione sembra trovare concretizzazione nell’ambito dell’industria energetica, dove da decenni in tutto il mondo centrali, sottostazioni e officine del gas dismesse sono diventate oggetto di numerose riconversioni (riuscite o meno), spesso a scopi museali o ricreativi.
Contemporaneamente molti impianti storici hanno continuato ad assolvere il compito specifico per cui sono stati progettati, assumendo – al di là della loro valenza tecnica – contenuti e valori che vanno oltre la storia della singola impresa e che interessano tutta la comunità. Il ricco patrimonio archeologico-industriale di Aem non fa eccezione, a partire proprio dal suo edificio simbolo, l’ex centrale termoelettrica comunale di piazza Trento, oggi sede degli Archivi Storici di Fondazione Aem. Impressa indelebilmente da Umberto Boccioni in Officine a Porta Romana (1910), ma anche in La strada entra nella casa (1911) e Materia (1912), la centrale con le sue tre alte ciminiere divenne fin da subito un forte simbolo di modernità per la città di Milano.
Non meno importanti e imponenti sono le due monumentali ricevitrici elettriche costruite in epoca fascista ai confini della città, ora assorbite dalle periferie e ancora perfettamente funzionanti, così come le tante sottostazioni distribuite a livello capillare in tutta la metropoli.
Lungo l’asse elettrico che collega dal 1910 l’Alta Valtellina a Milano, spicca invece la mole austera della centrale termoelettrica di Cassano d’Adda, anello di congiunzione tra territori e culture, nonché emblema e compimento per Aem della ricostruzione industriale nel secondo dopoguerra.
E poi il magnifico paesaggio idroelettrico valtellinese con il suo ordito di centrali, condotte, dighe e invasi, dove architettura e ingegneria si sono fuse sempre di più con la sacralità della natura, plasmando nuovi equilibri e ponendo l’energia delle montagne al servizio del bene comune.
Infine, l’ex Officina del gas alla Bovisa protagonista nella storia dell’azienda solo dal 1981, con l’annessione del servizio gas e la trasformazione di Aem in impresa multiservizi, con i suoi gasometri da sempre anima e filigrana della Milano industriale.
Le testimonianze dell’Archivio storico fotografico Aem ci permettono dunque un’immersione nel passato e nuove riflessioni sul presente: nelle immagini di Antonio Paoletti, Vincenzo Aragozzini, Guglielmo Chiolini, ma anche negli scatti dei meno conosciuti Adolfo Ferrari e Paolo Moreschi, è possibile intraprendere un viaggio tra i diversi momenti della nostra storia industriale recente e tra i luoghi che l’hanno rappresentata. Architetture e paesaggi oggi al centro di una costante attività di valorizzazione da parte di Fondazione Aem tramite mostre annuali e specifici itinerari di turismo industriale.
Parallelamente alle immagini storiche degli impianti Aem, dialogano in mostra le spettacolari fotografie di Francesco Radino, tornato un’altra volta sul “luogo del delitto” a rileggere i segni della storia e a ricomporli secondo i tempi. Oltre alla raffigurazione dei principali edifici rappresentativi delle ex municipalizzate di Milano e Brescia, si inseriscono per la prima volta “nuove storie e nuovi luoghi”, ora patrimonio del Gruppo A2A. Dall’impianto idroelettrico di Somplago della Società Adriatica di Elettricità, alla maestosa centrale ex Enel di Monfalcone, fino alle più remote centrali idroelettriche della Calabria di Timpagrande e Calusia, eredità della Società Meridionale di Elettricità, confluiscono tessere variopinte di un mosaico comune, appartenenti non più solo ai territori di riferimento e delle singole aziende ma all’epico racconto dell’industria elettrica italiana.
“Resistere (reset/4° parte)”
Il 29 Ottobre 2018 un grave evento atmosferico ha sconvolto un territorio. Il nostro mondo, il luogo dove da molti anni condividiamo “storie silenziosamente presenti” e di cui ci sentiamo parte, è cambiato.
La Natura questa volta ha mostrato la sua forza, riprendendo possesso dei luoghi. Ci resta una sensazione di sconforto per la perdita di relazioni ormai consolidate, quasi di lutto. RESISTERE. Tutto tornerà come prima.
“RESISTERE” è la quarta parte di una ricerca sul territorio dell’Altopiano di Asiago che dura ormai da oltre 10 anni. Il lavoro originario ( “Reset” ), nato “dalla volontà di liberarsi (J), per ritrovare la magia del quotidiano e riscoprire un rapporto “rilassato” con la natura” ha comportato nel tempo un coinvolgimento personale sempre più profondo ( “Res(p)e(c)t” ): l’intervenire fisicamente sull’ambiente, interferendo sui normali equilibri, è divenuto sempre più un modo per appartarsi dal mondo esteriore “esaltando il coinvolgimento in storie silenziosamente presenti, anche se non immediatamente percepibili” all’interno dei boschi.
Dopo tanto tempo trascorso “a capire” la Natura, sempre più ci siamo sentiti di farne parte, ben accolti. Tornando nei luoghi a lungo frequentati riviviamo sempre sensazioni forti, a volte nuove, ritrovando “amici” o scoprendo che non ci sono più, capendo le trasformazioni, i cambiamenti, le evoluzioni.
Ormai facciamo parte di tutto questo; le “storie silenziosamente presenti” sono diventate anche la nostra storia. Per la prima volta con “RE (nel set della Natura)” – terza parte di “Reset” – anche la nostra figura ha fatto parte dell’immagine, segno di una sempre maggiore simbiosi: una presenza discreta perché “di fronte alla grandezza del mondo naturale non possiamo essere i protagonisti, ma solo comparse: ma l’essere parte di tutto questo, capirlo, “sentirlo”, ci rende comunque importanti e felici. “Come un RE”. Ma la Natura a volte ristabilisce le gerarchie dimostrando la sua forza.
Il territorio oggetto della nostra ricerca nel 2018 è stato sconvolto da “Vaia”: percorrerlo significa ora vivere sensazioni completamente diverse, anche nel dubbio che la Natura ci abbia rifiutati. “RESISTERE” vuole essere la presa di coscienza del grande rispetto che l’uomo deve portare, ma anche la convinzione che tutto potrà tornare come prima.

Berton – Carlesso
“Colonie”
Questo progetto fotografico da cui è scaturito il libro COLONIE (Danilo Montanari editore), è un piccolo viaggio nella memoria storica, sociale e culturale italiana che ha attraversato il Paese, da nord a sud e dal Tirreno all’Adriatico. …un flashback che mi ha accompagnato lungo questa esperienza esplorativa e che, tangibilmente, è stato il primo vero contatto con le colonie; è il ricordo, quasi onirico, di un giorno d’estate dei primi anni ’80, quando ho accompagnato mio cugino e mio zio (di Milano) a salutare un coetaneo ospite di una colonia estiva nella zona ponente a Cesenatico: “rinchiusi” in questi recinti, centinaia di bambini che, incuriositi, ci venivano a salutare; l’incontro si è svolto velocemente attraverso la cancellata, noi fuori e lui con tutti gli altri dentro… Avere sotto gli occhi quotidianamente queste strutture e averle viste, negli anni, vive e poi abbandonate, mi ha sempre affascinato ed incuriosito.
Quando poi ho iniziato ad intraprendere la fotografia in maniera progettuale, è stato naturalmente questo il primo argomento a cui mi sono dedicato. Era il 2009 quando, in compagnia di un amico, ho fatto la mia prima esplorazione fotografica all’interno di una colonia abbandonata da pochi anni. Una emozione fortissima: un misto di paura e stupore nel vedere, finalmente, un mondo solo immaginato e sconosciuto praticamente a chiunque. Le cucine, i refettori con tutti i tavoli e sedie, le camerate con tutti i letti in fila, gli ambulatori, le lavanderie e l’immancabile chiesa. (L.M.)
Si rimane stupiti e sorpresi da questi giganti di cemento che paiono aerei, treni, navi in partenza per il mare ma che, nonostante la loro grandiosità, non disturbano lo sguardo. Ne sono state costruite a migliaia tra i monti e il mare negli anni trenta del secolo scorso; con saloni ben areati, esposti al giusto sole e circondati dal verde, erano funzionali all’interno e all’esterno al benessere dei bambini ospiti.
“Il popolo italiano vuole essere sano” decretò Mussolini, da qui i suoi architetti si lanciarono in creazioni sperimentali e complesse che hanno fatto la storia dell’architettura contemporanea come luoghi dell’utopia.
Specie quelle marine, le più grandiose che ospitavano fino a duemila bambini, hanno insegnato agli Italiani ad andare al mare facendo della villeggiatura marina un fenomeno di massa. Oggi sono perlopiù edifici in abbandono, talvolta vengono sventrati e snaturati per ospitare scuole, alberghi o appartamenti o in alcuni casi addirittura demoliti per cedere i loro ampi spazi alla speculazione edilizia; con le porte e le finestre divelte, che rappresentano metaforicamente i varchi da cui man mano è fuoriuscita la loro sostanza. Assomigliano molto a parole senza più significato che attendono la loro fine. Si è trattato di un’evoluzione urbanistica a tre tappe: la prima, quella della loro costruzione e del loro uso in base alla funzione originaria; la seconda, quella dell’abbandono, dello svuotamento di significato; la terza, quella dell’attesa in cui per anni non sono state più nulla.
E’ il momento in cui l’ambiente esterno entra all’interno delle vuote colonie ripassando da quei varchi da cui era fuoriuscito, cercando il senso originario, integrandole così nel modello urbanistico dominante.
Settanta anni fa rappresentavano il pieno nel vuoto, oggi, per le dimensioni dell’area di rispetto che le circonda, costituiscono il vuoto nel pieno.
(Arch. Massimo Bottini)
“Milano – Le case di ringhiera”
Il percorso metropolitano di Carnisio inizia negli anni Sessanta e il suo sguardo si rivela subito curioso e anticipatore. Le sue fotografie sono un flusso continuo. Brevi sequenze.
Storie minime che comprendono volti e ambienti. Dagli esordi a carattere documentario passa presto all’approccio narrativo. La nebbia milanese sembra lo sfondo ideale per ambientare figure umane che oggi paiono davvero lontane e a sfogliare la sua intera produzione, che arriva fino ad oggi, si stenta a riconoscere la stessa città ma si riconosce la mano.
Lo stile garbato non è mai cambiato. Carnisio si muove silenzioso e dove prima coglieva memoria oggi evidenzia le naturali contraddizioni e le fascinazioni contemporanee, tipiche di una smart city. Instancabile.
Determinato. Gentile e raffinato seduttore di anime, Carnisio potrebbe disegnare a memoria mappe stradali. Indicare ai taxisti la via più breve per raggiungere la meta e suggerire agli urbanisti più cool il tracciato più armonico possibile per piste ciclabili e romantici dehors senza intralciare il traffico pedonale. La sua esperienza di osservatore dura da quasi mezzo secolo e la scia che ha creato deve essere guardata con attenzione non solo dagli amanti della fotografia, ma da parte di chi amministra questa città. Le sue immagini si ergono a manifesto politico e sociale.
I suoi libri contengono pagine di appunti utili alla comprensione più intima di un luogo alla continua ricerca della propria identità e per questo obbligato a esprimere attenzione e dinamicità.
Nell’ultimo decennio Milano ha subìto dei sostanziali cambiamenti, basti pensare alla costruzione e alla valorizzazione di interi quartieri: Isola, Bovisa, Bicocca.
La nuova Darsena, la Fondazione Prada solo per citarne alcuni.
Carnisio continua la sua indagine attraverso una documentazione sistematica occupandosi di varie aree della città.
Negli ultimi anni prosegue la sua ricerca sulla metropoli, porgendo uno sguardo più attento al tema del cambiamento, il suo sguardo è rivolto a queste radicali trasformazioni che alterano il tessuto urbano, focalizzandosi su aspetti più mirati e attuali e del tutto inediti.
È come se Carnisio sentisse la necessità di bloccare il mutamento, premere il tasto pausa su qualcosa che non tornerà più come prima.
Ed è così che appaiono i suoi scatti, tanti frame che ricostruiscono la storia di una città, pezzi che ricompongono l’anima del luogo e le sue evoluzioni. Anche le foto più recenti conservano quell’aurea di antica memoria storica, la luce che filtra dal suo sguardo e quella che cattura e conserva la stessa incisività poetica. Un dialogo intimo e introspettivo con la realtà milanese che occupa un ruolo centrale nella sua carriera. Uno scorcio autentico, ma allo stesso tempo lucido, obiettivo, diretto ci racconta il tessuto sociale.
Carnisio è un antesignano del “fotografo di strada”. Un autore che ha dimestichezza con i luoghi, le persone, che sa guardare con semplicità e cogliere nel profondo l’aspetto antropologico di un’evoluzione, trasmettendo con semplicità, la vera essenza di Milano. Insomma, se volete conoscere Milano chiedete a Virgilio Carnisio. Se siete milanesi e siete in cerca di un itinerario inedito o di una nuova esperienza visiva, chiedete sempre a Virgilio. Il suo nome è una garanzia di conoscenza. È un po’ come rivivere l’esperienza di un altro Virgilio, quello che, nella Divina Commedia, accompagna Dante in un percorso che, in termini di commozione, potrebbe avere la stessa valenza.
Denis Curti
Legnano negli archivi privati
La città racconta un po’ di noi stessi.
Tra le mura, antiche e moderne, vi si trovano le fragilità di un passaggio, la bellezza delle forme, le geometrie inaspettate, le brutture inanimate, la cultura e l’identità di un territorio, spesso celati da sogni di grandezza o pacata visibilità, in cui vi sono ricchezze umane e architettoniche.
La città è un labirinto di relazioni, ma anche di precari equilibri, che segnano periodi sociali di crescita collettiva o di a perdita di valori, in cui le nuove generazioni tessono rapporti con i più anziani, quando disponibili al confronto e all’ascolto.
Mutazioni sociali che si ritrovano anche negli archivi fotografici, che fanno da collante tra un passato gloriosamente industriale come quello di Legnano e lungo l’Olona.
Quando una città sa trasformarsi, attraverso accorti interventi, le condizioni diventano opportunità, badando al centro e rivitalizzando le periferie, cuore pulsante che alimenta un procedere creativo.
La luce, nell’indagare la città, ingloba le diverse attitudini espressive, nelle più ampie variabili cromatiche.
Lo si coglie nelle ombre dei cortili che appaiono senza tempo, nei colori accesi dei panni stesi, nelle presenze umane solitarie che attraversano le strade, nello scorrere silenzioso del fiume, nei profili dei tetti dalle tenui tinte che dialogano con il cielo, nelle architetture che il bianco e nero decanta, esaltando prospettive arricchite da raffinate partiture di grigio, che i riflessi esaltano, ritrovando nei particolari dei muri tracce di vissuti quotidiani e réclame logorate dal tempo, dominate da simbologie che ci riportano alla civiltà consumistica, ma anche alla storia industriale, rinvenibile nei segni ossidati e nelle prospettive paesaggistiche che racchiudono profili di fabbriche, tra cavi e tralicci, fondendosi con l’ambiente circostante.
Segni e vedute che l’osservatore troverà famigliari e nello stesso tempo stimolanti, per i differenti modi di vedere e interpretare.
Un omaggio alla città per far crescere un archivio, pensando alla conservazione della memoria.
Claudio Argentiero

Legnano Piazza San Magno
Alcune immagini della mostra
Fonte articolo comunicato stampa comune di Legnano.